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Dittatura, madri, cuore, sangue: Nona Fernández racconta ‘La dimensione oscura’ al Tempo Ritrovato Libri | 09 settembre 2018

Sa raccontarsi con estrema chiarezza la scrittrice ed autrice televisiva cilena Nona Fernández, che proprio in questi giorni impegnata è stata nel suo tour italiano prima al Festivaletteratura di Mantova e poi con le presentazioni in giro per la penisola tra Milano, Roma e Orvieto. Se la si ascolta seduta tra i lettoritra i lettori della Tempo Ritrovato Libri a Milano, in un tardo pomeriggio di una domenica di fine estate, sembra quasi di conoscerla da sempre mentre con le sue risposte puntali ci spiega cosa c’è dietro e dentro La dimensione oscura, il suo ultimo libro pubblicato in Italia lo scorso aprile da gran via edizioni.

Il compito che Nona Fernández porta avanti fin dal suo primo romanzo, Mapocho, ossia raccontare la realtra attraverso la letteratura, viene ripreso qui ne La dimensione oscura, che non è un romanzo, ma un ibrido tra cronaca, studio certosino di materiali d’archivio, diario personale. La narrazione prende il via da una presenza e da una copertina di un giornale, su cui campeggia una scritta: IO AGUZZINO.

In segreto volevo conoscere quell’uomo, aprire il suo sacco, entrarci, vedere i bambini scomparsi e raggiungere il cuore del suo mistero oscuro.

L’aguzzino è Andrés Antonio Valenzuela Morales, «un uomo alto, magro, moro, con folti baffi neri». Alla sua figura sono legate a stretto giro molte delle sparizioni di civili durante la dittatura cilena. Queste persone non fecero più ritorno, ed è questo che La dimansione oscura racconta. Non  la storia dell’aguzzino Andrés Antonio Valenzuela Morales, ma quella delle sue vittime. Perché possano essere ricordate immaginandole. Immaginare e interrogarsi sono anche questi due modi per ricordare.

Mi domando se dall’auto che lo portò via sia riusciuto a vedere i figli e la moglie un’ultima volta per imprimersi nella memoria quell’immagine benevola. La mia immaginazione sconfinata ed emotiva vuole credere di sì, che ci riuscì , placando in tal modo la paura provata in quel territorio infelice dove fu condannato a trascorrere gli ultimi anni della sua vita.

L’immaginazione è il motore delle storie che Nona Fernández racconta, pur mutuate dalla realtà, quando il materiale dei faldoni giudiziari terminano e di diritto lasciano in sospeso il lato umano della vicenda: cosa ne è stato delle vittime? Come ricostruire il caso? Come aggirare un buco nei materiali? L’immaginazione è il potere della Fernández, che «come un dj» (parole sue) ha studiato e mixato la sequenza perfetta per parlare di un argomento così doloroso e sanguinolento. E lo fa con approccio divulgativo sì, ma altamente protettivo: nei confronti del proprio figlio, che ritorna più volte nel libro, e di tutti gli altri figli.

La sua è una scrittura da madre che fatica a ricordarsi di essere stata anche figlia, come se avesse un compito da eseguire affidatole da tutta la forte tradizione matriarcale presente in Cile. Compito che esaudisce alla perfezione, dato che quando ci si trova nella stessa stanza con un’autrice del genere si resterebbe ad ascoltarla per ore. La Fernández è totalmente figlia del suo tempo, gli anni settanta e il regime totalitario, da farsi per forza di cosa madre quando racconta, quando con la sua voce e la sua scrittura puntale e vera si fa testimonianza.

Incontrare Nona Fernández vuol dire trovarsi davanti una persona, figlia della Dittatura, come lei stessa ha ripetuto più volte in quel tempo magnetico che abbiamo trascorso insieme, e per questo significa soprattutto poter ascoltare, immaginare e conoscere, una parte della Storia mondiale che in molti non conoscono. In primis perché viene ancora e spesso taciuta. Questa donnina energica e sempre pronta al confronto ha tanto da insegnarci e i suoi libri, nello specifico la testimonianza che sta alla base della Dimensione oscura, hanno tantissimo da insegnarci.

Concludiamo con qualche stralcio dal live twitting fatto durante la presentazione in libreria:

La dimensione oscura, Nona Fernández, gran vía edizioni, pp. 216

(con la traduzione di Carlo Alberto Montalto)

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