Prima che arrivasse il temutissimo ‘Burian’, il quale, almeno a Milano, non ha portato tutta la neve che ci aspettavamo, e come ogni anno una ventata di aria e letturatura nordica è invece arrivata nella città meneghina grazie a I Boreali, il festival di cultura nordica ideato dalla casa editrice Iperborea che, per ben quattro giorni, permette a noi lettori e a tanti appassionati di avvicinarsi ad autori, lingue, cultura, arte culinaria dei paesi nord europei. Il programma di quest’anno ha visto protagonisti Jón Kalman Stefánsson, Siri Ranva Hjelm Jacobsen, Kjell Westö, e tanti altri. Strøksnes
Nella seconda giornata di festival la scrittrice danese Siri Ranva Hjelm Jacobsen ha presentato il suo romanzo d’esordio, Isola. Una storia che ha il suo cuore nell’esperienza della stessa Jacobsen, che è nata e vive in Danimarca, ma che da parte di madre ha origini faroesi. Le isole Faroe sono un arcipelago di diciotto isole, a metà strada tra Islanda e Norvegia, pur facendo parte dei territori sottoposti alla Danimarca.
Le Faroe non facevano parte dell’Europa, certo, non in senso stretto. Ma da un punto di vista puramente geografico? Se si guardava un atlante?
In Isola Siri Jacobsen parte dallo spunto autobiografico per narrare di un viaggio alla riscoperta di sé stessi e delle proprie radici. A raccontarlo è una ragazza, tornata nelle Faroe con la sua famiglia, dopo che i suoi nonni (‘abbi’ e ‘omma’) sono morti. Il viaggio è di per sé evocativo, permeato di una leggerezza che diventa gravosità al ricordo delle storie tramandate dalla sua famiglia.
Venire quassù era stata un’idea di mia madre. Sentiva il bisogno di tornare a casa dopo tutti quei funerali, aveva detto. Tutti quegli addii. Potevamo fare una vacanza insieme aveva detto. Andare a trovare i parenti. Sapeva benissimo che il bisogno era mio. Lo avevo espresso.
Nel susseguirsi dei capitoli, il presente della ragazza (rappresentato dal viaggio alle Faroe) e il passato (sia storico che personale, della sua famiglia e dei suoi nonni) si intrecciano, conducendo il lettore in un altro viaggio dolceamaro e senza dubbio commovente: quello alla scoperta della sua identità. In questo caso poi l’identità è sì, quella dell’io narrante e della sua famiglia, ma pian piano diventa fluida e universale, rispecchiandosi poi in chiunque abbia vissuto e fatto esperienza della migrazione.
Il grano era sempre mosso dal vento tutt’intorno alla casa dove vivevano ‘abbi’ e ‘omma’ quando ero piccola. Era sempre estate. La casa era nei weekend, nelle ferie istituzionali.
In un punto preciso del romanzo viene ripercorso lo status che investe i migranti di prima, seconda e poi di terza generazione. I primi sono quelli che, con profondissimo dolore e poi con nostalgia, decidono di andare via in cerca di una vita migliore, di un posto in cui affermarsi trovando un lavoro decente e creandosi una vita e una famiglia; i secondi vivono una condizione di passaggio lontani da quella che era casa, ma ne avvertono ancora l’influenza e gli usi e le tradizioni grazie ai genitori; i terzi sono quelli che sono maggiormente assimilati dal paese d’adozione, conoscono poco le loro origini, inizialmente non sembrano avere interesse a scoprirle. Proprio come è capitato alla Jacobsen che, però (e per fortuna!), più avanti arriva a scrivere di quell’Isola e di ‘abbi’ e ‘omma’, le radici del romanzo: due personaggi che, pur essendo uno l’antitesi dell’altro, si completano regalando a chi legge la tenerezza di sapere che casa può essere in qualunque luogo o, al contrario, in uno solo e basta.
Non avevo il coraggio di domandare: Come si migra? Cosa si fa di tutto quello che trepida?
E ancora:
Le radici trepidano e frugano. Portano particelle morte di un’altra terra.
‘Abbi’ è Fritz, il nonno. ‘Omma’ è Marita, la nonna. Partiti entrambi dalle Faroe da giovani, non insieme, trascorreranno tutta la vita insieme, ma non con le stesse prospettive. Marita, la forte Marita, è decisa ad abbandonare la sua isola alla volta di Copenaghen per lasciarsi tutto alle spalle e costruirsi un futuro che la vedesse protagonista in prima persona e non ombra del marito come sarebbe stato se fosse rimasto. Anche Fritz, personaggio più debole e incline a farsi sopraffare dai vizi, vuole partire per non vedersi condannato a una vita di stenti che non gli spiacerebbe, quella del pescatore. Vuole studiare e ce la fa. Eppure per lui la lontananza da casa è sempre e costantemente troppo forte.
‘Abbi’ smise di parlare di ‘omma’ dopo il funerale. Forse ne parlava con qualcun altro, ma non con me. Finito il suo «se-non-fosse-stato-per», rimase solo il pudore.
Alla mia domanda sul motivo che l’avesse spinta a caratterizzare in modo così forte e deciso il personaggio di Marita, la Jacobsen risponde che Marita è sicuramente uno dei personaggi più forti di Isola, è così per emancipazione e, pur non essendo la stessa persona, incarna un sincero omaggio a sua nonna e alle donne della sua famiglia. Nel romanzo è vivissima la connotazione storico-politica dei due personaggi: la Jacobsen ci spiega, infatti, che Marita è cosmopolita, aperta verso la Danimarca e intenzionata a farsi adottare dal nuovo paese; Fritz, al contrario, è più nazionalista e arriva a non vivere nella speranza di poter tornare un giorno in quella casa che sta sognando così tanto al punto di idealizzarla.
«Quello che è certo è che viveva nel futuro, finché non aveva cominciato a vivere nel passato. In questo senso era un vero migrante.»
Con una delicatezza unica e senza mai risultare pesante o ridondante, Siri Ranva Hjelm Jacobsen dipinge un affresco fatto di persone, passato, radici e Storia che non si dimentica facilmente. Isola si regge su un insieme solido di dettagli preziosissimi che portano allo scoperto la fragilità tutta umana di chi si trova lontano dalla propria terra e non può o non riesce a tornarci. Il tutto arricchito da tante voci che si uniscono e si intrecciano, proprio come in un canto tradizionale. Non si può uscire impassibili dalla lettura di Isola: il sentimento più forte che questa storia è capace di accenderci dentro è, appunto, quello di una straordinaria empatia.
#Jacobsen: c’è una cosa che è possibile fare solo in letteratura e non del tutto nella vita vera ed è provare la più totale empatia verso gli altri. Leggere è fare pratica di empatia.#Isola @IperboreaLibri #IBoreali ?❄
— federica guglietta (@fedeguglietta) 23 febbraio 2018
Isola, Siri Ranva Hjelm Jacobsen, Iperborea, pp. 256
(con la traduzione dal danese a cura di Maria Valeria D’Avino)
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Leggo e scrivo di libri. Vado ai concerti. Lavoro coi social. Cerco cose belle. Consigli di lettura ogni lunedì.